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La Storia

MONTESANO SULLA MARCELLANA
Chi entra nel Vallo di Diano percorrendo l’autostrada Salerno – Reggio Calabria in direzione Sud, ha la possibilità di osservare i paesi che gli fanno corona, disposti quasi tutti sulle alture. Ma già da lontano non può fare a meno di notare, sulla sinistra, un paese posto più in alto degli altri: è Montesano sulla Marcellana, con le case addossate alle pendici di un colle compreso nella Catena appenninica della Maddalena, che con i suoi 850 m. di altitudine domina l’intera Vallata.  Continua a leggere   

LINEE STORICHE RELATIVE ALLA PARROCCHIA “S. MARIA DI LORETO”

Secondo il Macchiaroli, Arenabianca ebbe origine nel 1600; da Paolo Fabiano apprendiamo, invece, che è nel 1700 che si consolida il centro di Arenabianca, traendo forse origine dal più antico insediamento di Cauli.

Infatti se confrontiamo le mappe storiche di A. Sacco, Arenabianca è sotto la denominazione Cauli sin dal 1500 e solo nel 1700 si trova il nome Arenabianca.

L’origine di Cauli è dovuta forse ad un ramo della nobile e antica famiglia Caolo di Padula che, avendo dei possedimenti nella odierna Arenabianca, aveva potuto dar vita a questo villaggio.

Nelle mappe storiche sopracitate troviamo nel 1500 anche la “Cappella S. Maria di Loreto” ; forse questa cappella, oggi Chiesa, era stata costruita per volere di questi primi abitanti.

Il nome S .Maria di Loreto è forse dovuto ad un quadro che raffigura appunto la “Madonna di Loreto”, che, secondo alcuni studiosi, fu importato dalla Certosa di Padula.

Comunque, in ogni caso, anche da documenti reperiti, si parla del Villaggio di Arenabianca, facente parte , sin dai tempi più remoti, di Montesano Sulla Marcellana.

Difatti la storica “Cappella” era ritenuta come un Santuario di Montesano ed affidata ad un sacerdote pagato dal Comune.

Nel 1700 vi erano circa 500 abitanti. L’incremento di nuove famiglie doveva essere favorito dalla buona ubicazione del paese; l’agibilità e l’altitudine favorevole sono tra le molte note che ancora oggi distinguono questa frazione.

Il nome “Renabianca” sta ad indicare i renai bianchissimi, che si trovano nella zona.

La chiesa parrocchiale “S. Maria di Loreto”, ristrutturata dopo il sisma del 23 novembre 1980, è il punto di riferimento del paese; altra chiesa sorta nel 1973 per volere del parroco Mons. Prof. Don Antonio Pascale è situata nella contrada Tempa La Mandra , dove si svolge la liturgia domenicale e il 1° maggio la festa di S. Giuseppe Artigiano e S. Vincenzo Ferreri , di cui porta il nome.

L’impianto originario della Chiesa Parrocchiale, testimoniato da due stipiti sormontati da un architrave inseriti nel muro della fronte laterale , risalirebbe al sec .XV secondo l’ipotesi del sovrintendente Mario De Cunzo che , nel descritto portale, vede i segni dell’architettura popolare del cui citato secolo.

Una lastra di pietra con la scritta “jus patronatus A . D. 1628” fu inserita nel muro della fronte laterale , al di sopra dell’architrave: l’ipotesi più probabile vuole che si tratti di un’aggiunzione posteriore, dovuta a qualche famiglia che vantò diritto di patronato.

Nel 1826 il Santuario sotto il titolo di S. Maria di Loreto , di diritto patronale del Comune di Montesano, ufficiato da qualche sacerdote del clero di Montesano soltanto nei giorni festivi , in occasione di una Santa Visita , l’Ordinario Diocesano dell’allora Diocesi di Capaccio stabilì che vi dimorasse stabilmente un sacerdote per sovvenire ai bisogni spirituali dei fedeli.

Il Vescovo Mons. Michele Barone emanò regolare Bolla canonica con cui la Chiesa veniva eretta a parrocchia : non si conosce la data precisa della Bolla , ma il registro dei morti , il più antico registro conservato in questo archivio parrocchiale , nel dicembre 1827 porta la dicitura di “novella parrocchia”.

Il primo Vescovo della novella Diocesi di Diano Teggiano , fondata il 20 settembre 1851, S. E. Mons. Valentino Vignone con Decreto datato 12 maggio 1855, riconfermava “parrocchia curata” senza alcuna dipendenza da quella di Montesano.

E’ questa l’epoca d’oro della parrocchia, retta dall’Arciprete Curato (cosi di firma sempre) Don Domenico Castelli di Monte San Giacomo, che immesso nel possesso il 26 giugno 1855 si dimise per ragioni di salute il 27 maggio 1872 : questo sacerdote quindi è il primo vero parroco di Arenabianca.

L’ iniziativa più importante compiuta da don Domenico Castelli fu l’ampliamento della chiesa, mediante il vivo interesse del Vescovo Vignone.

L’arciprete Castelli, in un sua relazione alla Curia Vescovile, affermava che quasi cento anni prima erano state gettate le fondamenta ma non si era continuato il lavoro per mancanza di mezzi, i lavori di ampliamento furono iniziati il 29 agosto 1866 e furono collaudati il 24 ottobre 1870, probabilmente in questa epoca fu innalzato anche il campanile, essendo certa l’esistenza in precedenza di più di una campana.

Alle spese dei lavori concorse mirabilmente il popolo ed alcuni devoti con somme cospicue.

Prima dell’ampliamento, secondo una relazione di don Domenico del febbraio datata 1861, la chiesa aveva tre altari:

1) Altare maggiore o del Santissimo, altare che aveva avuto il Rescritto di Pio IX “di altare privilegiato”, altare unico della primaria Cappellina del piccolo Santuario certamente esistente nel 1628, inoltre da coronamento a questo altare era il quadro su tela della prima metà del secolo XVII, di autore sconosciuto , che raffigura la Madonna di Loreto .

2) In cornu evangelii, l’altare con la statua della medesima Madonna in legno , costruita dal dilettante Raffaele Cariello di Padula ( probabilmente nel 1831 per essere, forse, portata in processione L’8 settembre, giorno con cui se ne celebra la festa con grande sfarzo e solenne novenario di preghiera) : la statua portava una corona tutta di argento con pietre di rubino, in braccio il bambino con la corrispondente corona pure di argento, due pendenti di oro agli orecchi ed un anello della stessa materia alla mano sinistra .

3) In cornu epistolae, l’altare con la statua in legno di S. Giuseppe, la cui festa con pari sfarzo di quella della Madonna di Loreto, veniva celebrata la terza domenica dopo Pasqua.

Secondo una relazione dello stesso Arciprete del 25 gennaio 1856 la parrocchia di Arenabianca contava 755 anime.

La generosità della popolazione si evince dai resoconti annuali che il predetto rendeva alla Curia: un devoto questuava con la bisaccia ogni venerdì e sabato per Montesano ed Arenabianca grano, granone e mistura ecc. ; si praticavano in oltre le questue non solo per le due feste, ma anche durante l’anno le questue per le aie al tempo della raccolta del grano e la questua dell’olio.

La Parrocchia possedeva quattro poderi, ma non si trovano ben definiti nei documenti esistenti.

In un verbale di possesso redatto dal Vicario Foraneo don Francescantonio Grassano di Casalbuono nel trapasso della Parrocchia dall’economo Curato don Antonio Lavieri e don Andrea Greco, vengono nominati come proprietà della Chiesa un vigneto, un querceto e un oliveto.

Nello stesso verbale si parla della casa canonica, composta di tre vani sottani e dodici vani soprani con soffitti corrispondenti, vani quasi interamente restaurati dal predetto don Antonio Lavieri con la spesa di sessantasei ducati, depositatigli dal defunto suo zio don Michele Lavieri.

Dallo stesso verbale si evince la esistenza all’epoca di un battistero di marmo, con dentro un bacile di latta con corrispondente coppo portante l’iscrizione dell’anno 1630; non che l’esistenza di un organetto a sette registri con l’orchestra nuova, alla quale si accedeva per una scala di legno.

Dal 6 giugno 1872 figura, prima come Economo Curato e poi come Arciprete Curato don Giuseppe Alleva , ex Fra Lodovico da Montesano, Cappuccino.

Come di don Giuseppe Alleva, così di altri arcipreti non sono presenti altre tracce di opere da essi compiuti se non quelle prese dai libri parrocchiali, che sono assai avare di notizie.

Il documento più antico che si conserva nell’archivio parrocchiale di Arenabianca è un piccolo registro dei morti dall’anno 1827 all’anno 1855 nonché quello dei battezzati dall’anno 1852 all’anno 1855.

Soltanto nel 1855 furono impiantati dall’arciprete curato Domenico Castelli, oriundo di S. Giacomo, i registri di battesimo, matrimonio e morte.

In archivio esistono, tra i documenti più antichi: un decreto dell’anno 1855 di S.E.Valentino Vignone che riconfermava la parrocchia curata senza alcuna dipendenza da quella di Montesano ottenendo la rendita complessiva di cento ducati; uno Stato del Clero 1861 dell’Arciprete curato Domenico Castelli; una statistica dell’anno 1862 redatta dallo stesso parroco; un Rescritto di S.S.Pio IX dell’anno 1867 che concedeva all’Altare Maggiore privilegiato; un istruzione della Quaresima dell’anno 1810 di S.E. Camillo Tiberio; un decreto dell’anno 1957 di S. E. Stefano Tinivella che fissava la circoscrizione territoriale della Parrocchia.

Dall’anno 1855 all’anno 1872, durante il parrocato dell’Arciprete Domenico Castelli, cioè in 18 anni, si ebbero n. 523 battesimi, n. 126 matrimoni, n. 409 defunti, ciò denota l’alta natalità.

Dall’anno 1960 all’anno 1986, cioè in 26 anni, durante il parrocato di Monsignor Antonio Pascale, si ebbero n. 617 battesimi, n. 556 cresime, n. 268 matrimoni, n. 310 morti, (ciò denota la ridotta natalità).

PARROCI DI ARENABIANCA DAL 1855

  1. Don Domenico Castelli ( proveniente da Monte San Giacomo) dal 26. 06.1855 al 27.05. 1872.

  2. DonGiuseppeAlleva(exFràLudovicodaMontesano,cappuccino,perilquale il vescovo aveva ottenuto dalla competente Congregazione il permesso della perpetua secolarizzazione), economo curato dal 6 giugno al 31 ottobre, parroco dal 01.11.1872 al 18.08.1901.

  3. Don Nicola Salvati: economo curato durante la “vacatio” dal 09.09.1901 al 06. 08.1902.

  4. Don Antonio Mele ( proveniente da Atena Lucana) dal 07.08.1902 al 22.07.1920.

  5. Don Elia Giudice (proveniente da Buonabitacolo) dal 08.09.1920 al 05.02.1922.

  6. Don Ernesto Pinto (proveniente da Teggiano) dal 19.03.1922 al 27.02.1923.

  7. Don Saverio Mangieri ( proveniente da Padula) dal 08.04.1923 al 27.06.1931.

  8. Don Arturo Sammarco (proveniente da Montoro, ex frate minore

    francescano) dal 02.08.1931 al 25.07.1937.

  9. Don Clemente Esposito (proveniente da Sassano) dal 08.08.1937 al

    06.08.1943.

10.Don Salvatore Tropiano (proveniente da Teggiano) dal 08.09.1943 al

22.03.1953.
11.Il 10 maggio 1953 prendeva possesso della parrocchia, il primo sacerdote

nativo di essa, Don Antonio Pascale, ordinato l’11 luglio 1943, vice parroco e parroco rispettivamente per tre e sette anni a Buonabitacolo e nella parrocchia di S. Giovanni Battista, in Padula. Fino al 22.10.1999 giorno della sua dipartita.

12. Don Amedeo Parascandalo anno 2000 come Amministratore Parrocchiale. 13. Don Vincenzo Federico Amministratore Parrocchiale fino al 23.12.2001. 14. Don Fernando Barra (proveniente da Morigerati) dal 23.12.2001 .

Fonte storica

La chiesa ed ex Convento PP. Cappuccini.
Fondata nell’anno 1590 per volere dell’ “Università” e col consenso del vescovo di Capaccio, alla cui Diocesi apparteneva, allora, Montesano.
Si ringrazia Don. Donato Varruzza, per la disponibilità.

 

 

Abbazia di Cadossa

Il monastero sorge a sud di Montesano, in luogo ameno, ricco di acqua e di vegetazione.

Alla luce di recenti studi condotti da insigni studiosi, pare che esso non possa essere identificato con quello “Sancti Simeonis”, donato nel 1086 dal citato Gran Conte Ugo d’Avena a Pietro Pappacarbone, terzo abate della “SS. Trinità” di Cava dei Tirreni.

Dipendeva dall’Abbazia il vicinissimo Casale di Cadossa, posto “prope ipsum monasterium”, abitato da cento famiglie soggette all’autorità dell’abate.
Grandi erano le estensioni di terre di proprietà del monastero specie dopo le donazioni fatte da Margherita di Scotto, contessa di Montesano e moglie di Guglielmo Sanseverino.
Anche Casalnuovo (Casalbuono) era proprietà della Badia, con cento vassalli sui quali l’abate esercitava la giurisdizione feudale.

Una istituzione della quale gli abati di Cadossa ebbero sempre molta cura era l’ospedale, edificato all’estremità della via pubblica, in luogo alquanto elevato, detto ancora oggi “Tempa dell’ospedale”. Distrutto dal terremoto del 1688, non fu più riedificato.

I primi documenti che fanno riferimento al monastero risalgono al XIII secolo. Nel 1238 l’abate di Cadossa dimostra la provenienza e l’appartenenza della chiesa di S. Venera contro i monaci basiliani di S. Andrea Arpio. Nel 1272, Onorato Fornerio, signore del casello di Cadossa, invade la Badia di S. Maria “sotto colore di volerla difendere”, occupa un mulino e dichiara suoi vassalli gli abitanti di Casalnuovo.

L’abate e i monaci ricorrono al re Carlo I d’Angiò, che impone al Fornerio di desistere dalle sue usurpazioni.
Nel 1294 il monastero e il casale passano alle dipendenze dell’Ordine militare ospitaliero della SS. Trinità di Venosa, più noto sotto il nome di Cavalieri di Malta, e vi rimangono fino al 1306. E’ , infatti, del 1305 il ricorso di questi ultimi al re Carlo contro Guglielmo di Ponziaco, che si era impadronito del casale, e ne ottengono protezione.

Ci rimane tuttora oscura la vita del monastero nel periodo più antico, che pur dovette essere florida. Fu in quell’epoca che, secondo la tradizione, vi trascorse la sua breve esistenza S. Cono di Teggiano. Cadossa, specialmente nel periodo angioino, fu una delle Badie più rinomate dell’ordine benedettino e la voce dei suoi abati si levò autorevole anche nei “pubblici parlamenti”.

Da varie fonti apprendiamo i nomi di alcuni suoi abati: Costa, che accolse il giovane Cono; Mattia da Montecorvino (1306); Guglielmo da Diano (1321); Nicola della Penta (1324); Tommaso; Ruggero (1361) che curò la rinnovazione del primo inventario dei beni della Badia nel 1372. Ma le continue occupazioni, le aggressioni, le ruberie ed altri motivi ancora, segnarono il decadimento del famoso monastero, che nella metà del XV secolo fu ridotto a “Commenda”, affidata ad abati “commendatari”, i quali non risiedendo sul posto, non facevano che sperperare i sui beni, senza curarsi del culto divino.

Questi i nomi degli abati “commendatari” di Cadossa prima della sua annessione alla Certosa di Padula: Giacomo, verso il 1436; Carletto, arcidiacono sorrentino, dal 1440, Lorenzo Cichi di Buccino; Gian Paolo Vassallo che, nel 1436, fu eletto vescovo di Potenza e sei anni dopo trasferito alla cattedra vescovile di Troia (Foggia); Oliviero Carafa, cardinale arcivescovo di Napoli, nel 1469; Bernardo Brancaccio, Chierico napoletano, nel 1500; ultimo, Giovanni di Gesualdo, nobile napoletano, che aderì alla proposta di cessione fattagli dal Priore di S. Lorenzo. Così, con bolla di Papa Leone X del 17 novembre 1514, Cadossa fu incorporata alla Certosa di Padula. Nel 1519 Giovanni di Gesualdo rinunziò anche ai diritti che si era riservato
nella precedente cessione e il monastero cadossano fu trasformato in “grancia” certosina.

Il cenobio certosino, in questo modo, acquisì anche la prerogativa di “Sedes nullius” spettante al monastero benedettino.

La badia, all’epoca dell’annessione alla Certosa, versava in stato di avanzato degrado: il fabbricato era devastato in più parti e la chiesa minacciava di andare in rovina per vetustà ed abbandono. I Certosini si attivarono immediatamente per il recupero degli edifici, cominciando dalla chiesa. Ne fu costruita una nuova nel 1578. Il Priore chiese ed ottenne dal Papa Gregorio XIII di trasferire il culto dalla vecchia chiesa a quella nuova e di trasformare la prima in abitazione per i religiosi addetti alla “grancia”.

La concessione pontificia, però, fece obbligo di trasportare nella nuova chiesa le cose sacre e le ossa dei cadaveri sepolti in quella antica.
Essa, esternamente, ha conservato il suo aspetto originale; all’interno, i muri che una volta erano lisci e uniformi, si presentano ora carichi di stucchi sovrapposti nel periodo barocco. Sull’altare maggiore si eleva, addossato al muro di fondo, il quadro della Vergine Assunta, da sempre titolare della chiesa.

“Ex novo” fu costruita anche la parte centrale della facciata principale. In essa si apre il bel portale d’ingresso che immette nel cortile, in fondo al quale si ammira una fontana che richiama quelle esistenti nella Certosa.
La “grancia” era retta da un monaco procuratore e da alcuni conversi e laici che mantenevano la chiesa aperta al culto. Il Priore vi si recava il 15 agosto di ogni anno per celebrarvi solenne Pontificale in onore di S. Maria Assunta. Parimenti ogni anno vi si portava la comunità monastica per lo “stanziamento”, gita annuale della durata di un’intera giornata accordata a tutti i monaci.

La Badia dal 1514 seguì le sorti della Certosa: soppressa una prima volta durante il decennio di dominazione francese, fu riaperta e ridata ai legittimi proprietari nel 1818. Ma nel 1866 le leggi eversive piemontesi ne decisero la seconda e definitiva soppressione.

Acquistata nel 1869 dai Baroni Gerbasio di Montesano, venne adibita ad abitazione dei coloni della vasta tenuta, a depositi di derrate ed a stalle.

Degno di nota è l’annuale pellegrinaggio che i Teggianesi e i Montesanesi compiono a Cadossa la prima domenica di agosto, mantenendo così viva la secolare devozione verso S. Cono.

Prof. Gennaro Arteca

Fonte: Fonte storica

L’obiettivo è preservare la cultura e la memoria storica del proprio Paese, valorizzando le bellezze paesaggistiche, ambientali e architettoniche, nonché i modi di vivere dei suoi abitanti. Si dovrebbero catalogare, restaurare e conservare gli oggetti e le testimonianze che rappresentano questa cultura, rendendoli accessibili a fini culturali ed educativi. Diversi cittadini, tra cui Vincenzo Maglione, Bitorzoli Raffaele, Albano Giuseppe e Francesco Vannata, hanno raccolto materiali per creare una collezione che rappresenta il tessuto culturale della comunità. Molti cittadini hanno sostenuto l’idea, anche rinunciando a oggetti personali. Artigiani come Bilotti Antonio, Ferzola Giuseppe, Grieco Michele e Barbella Oreste si sono volontariamente dedicati alla pulizia e al restauro degli oggetti, permettendo che fossero esposti e ammirati nella loro bellezza.

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