Convento di San Francesco
Voluti da Giovanni Tommaso Sanseverino, discendente del più famoso Tommaso fondatore della Certosa di San Lorenzo, i lavori di costruzione del convento ebbero inizio nel 1380. Nei primi decenni del Quattrocento lo stesso fu affidato ai Frati Minori Osservanti da Papa Martino V. In quegli anni veniva completato il chiostro, mentre nel 1556 veniva fusa la campana grazie a Maria di Cadorna, feudataria di Padula, che con le famiglie D’Avalos e Del Tufo è stata sicuramente tra le maggiori benefattrici del convento.
I lavori continuarono piuttosto spediti e nel Seicento il soffitto in legno della chiesa fu arricchito con otto tele ad olio, soffitto purtroppo crollato nel 1857 a seguito del violentissimo terremoto che colpì questo territorio. Il XIX sec. è anche il periodo delle soppressioni degli ordini religiosi che colpirono questo convento nel 1815; restituito ai frati l’anno successivo per ordine di re Ferdinando IV di Borbone, dopo l’unità d’Italia (1866) essi dovettero abbandonare nuovamente l’edificio religioso, riacquistato definitivamente alla fine di quel secolo da padre Francesco Maria Vegliante di Padula. Il complesso è formato da più corpi connessi tra loro: la chiesa, il chiostro, la zona delle celle. Alla chiesa si accede da un atrio ricavato nel corpo della facciata principale che si apre sulla piazzetta-sacrato antistante il convento. Esso, configurato da un ordine tripartito di archi a tutto sesto, è sorretto da colonne e paraste d’angolo con capitelli decorati da motivi a foglie e presenta una pavimentazione in lastroni di pietra ed un portale in pietra calcarea del 1645. La chiesa, di forma rettangolare, è a due navate di cui la principale con abside. Abbondano decorazioni settecentesche a stucco per le nicchie e ad affresco per le pareti, segno questo che più volte l’aula è stata oggetto di interventi di abbellimento o di restauro. La navata principale è ricca di un ciclo di affreschi, datati al 1715, con scene tratte dal Nuovo Testamento, opera di Anselmo Palmieri, abate pittore. Altre pitture che decorano le pareti con motivi floreali risalgono al 1713 e sono opera del pittore di Buonabitacolo, Francesco De Martino che operò molto in tutto il Vallo di Diano, compresa la loggia della spezieria della Certosa. Nella navata laterale trovano posto sei cappelle votive (Madonna delle Grazie, S. Anna, Crocifisso, Cuor di Gesù, Madonna Addolorata e Madonna degli Angeli) con una diffusa decorazione a stucco di gusto tardo barocco. Tra esse, particolare interesse riveste la cappella della Madonna degli Angeli, così denominata dalla presenza di una tela raffigurante la Vergine con ai piedi S. Francesco e Santa Caterina d’Egitto: attribuita a Giovan Vincenzo Forlì, essa è incastonata in una cornice lignea con trabeazione finemente lavorata di fattura tardo rinascimentale. La cappella che conserva in un’urna dorata alcune reliquie di Santa Sabina è nota anche col nome “Del Tufo”, dalla famiglia che vi trovò sepoltura. Essa altro non era che l’abside della navata laterale e ripete in dimensioni più ridotte lo schema di quella dell’aula principale, anche se interventi di consolidamento negli anni Cinquanta hanno prodotto la distruzione della piccola volta a vela. Nella cornice soprastante l’altare della cappella di S. Anna e sotto gli archi che delimitano le due navate, durante i lavori di riparazione post sisma sono stati rinvenute pitture quattrocentesche, che costituiscono una preziosa testimonianza del periodo di fondazione del convento. Queste splendide figure, tra cui sono facilmente riconoscibili un San Sebastiano e una Madonna con Bambino, erano state coperte da decorazioni non certo degne della maestosità dell’apparato figurativo e pittorico che regna nel complesso. L’abside pentagonale della navata principale, ricco di affreschi settecenteschi con scene del Vecchio Testamento culminanti con la figurazione della venuta di Cristo, si apre con un ampio arco a sesto acuto sorretto da due colonne sui cui capitelli sono raffigurati i volti probabilmente di esponenti della famiglia Sanseverino che tanta importanza ebbe anche per questo convento. A conferma di ciò si trova lo stemma della famiglia, scudo con campo azzurro spezzato da una fascia rossa, proprio al vertice della volta a vela dell’abside. In alcune nicchie dell’aula sono custodite quattro sculture lignee raffiguranti i Santi Vito, Donato, Caterina d’Alessandria e Maria Maddalena: le prime due sono state recentemente attribuite alla bottega di Francesco Mollica attiva principalmente a Napoli nella seconda metà del ‘500, mentre le seconde, databili ambedue alla fine del ‘400, presentano modelli e linguaggio stilistico tipici della produzione della bottega, anch’essa napoletana, degli Alamanno. Il chiostro, al quale si può accedere direttamente da un ingresso posto accanto all’atrio, ha forma quadrata ed è costituito da un portico sorretto da ventiquattro colonnine impostate su di un basamento. Sulle pareti sono venuti alla luce affreschi del pittore ebolitano Ottavio Paparo (1594), precedentemente nascosti da un leggero strato di calce. Dal chiostro si accede alla biblioteca, alla cantina (sul cui portale con trabeazione si legge, in greco e latino, “conosci te stesso?”), al refettorio e all’auditorium. Una scala conduce al piano di abitazione dei frati, modificato profondamente da interventi succedutosi dall’Ottocento ai giorni nostri. Un’ultima annotazione va al giardino ed orto del convento, il cui impianto, che si estende per circa un ettaro, in declivio, con terrazzamenti di forma regolare, risale agli inizi del Settecento e nel quale sono state rinvenute alcune presenze archeologiche attualmente allocate presso il Museo provinciale nella Certosa.