Il Museo, allocato nella casa natale di Joe Petrosino, è l’unica Casa-museo dedicata ad un esponente delle forze nell’ordine. In questa casa il 30 agosto 1860 nacque Giuseppe Petrosino. Tra queste mura il piccolo Giuseppe visse fino a 13 anni, quando nel 1873 insieme al padre Prospero, sarto, e a tutta la famiglia, partì per l’America. Questo caso di ordinaria emigrazione determinò il destino di Giuseppe che sarebbe diventato, poi, il grande, leggendario Joe, il poliziotto più famoso d’America. In questa casa continuarono a vivere fino ai nostri giorni i parenti di Giuseppe: fratello, nipoti, pronipote. Tutti furono fedeli custodi di questi ambienti che, attraverso varie generazioni, hanno conservato la memoria di quegli anni, nel susseguirsi delle molte partenze e dei pochi ritorni legati al sogno dell’emigrazione. Gli arredi, gli oggetti, ci sono pervenuti quasi intatti. Qui vive la vicenda della grande emigrazione meridionale che sì è dipanata dall’ultimo Ottocento fino ai primi del Novecento. Nel corso di questo periodo, le mutate condizioni della vita hanno comportato lievi trasformazioni che non hanno per nulla falsato la genuinità di questa testimonianza. L’introduzione della luce elettrica, oppure i nuovi mobili liberty della sala da pranzo, acquistati dal nonno Michele, ultimo fratello di Joe, che ritorna a casa col piccolo gruzzolo risparmiato negli States, diventano capitoli assai significativi della storia dell’emigrazione meridionale. Proprio attraverso la visualizzazione e la reificazione del nuovo benessere l’emigrante di ritorno dimostrava ai compaesani rimasti a casa, l’orgoglio di non essere partito invano. La luce elettrica, i nuovi mobili, l’orologio e la catena d’oro, lo stesso modo di vestire diventano un esplicita dichiarazione di successo. Nel Museo sono esposti anche cimeli e documenti relativi all’eroica attività del poliziotto. Tutto ciò rende più suggestiva la visita facendo provare a chi vi si reca le stesse emozioni di coloro che vi hanno vissuto, stimolando valori di legalità e giustizia. Il percorso della mostra ripercorre, attraverso le sue 24 sezioni, il periodo che va dal 1860 ai giorni nostri offendo scorci sulla legalità, la giustizia e la sana emigrazione, il tutto riccamente narrato dalle custodi/guide in uniforme della polizia di New York.
Fonte – MIBACT
Casa museo joe Petrosino
Era la sera del 12 marzo 1909 quando il poliziotto italo-americano Joe Petrosino venne raggiunto da quattro colpi di pistola mentre camminava in Piazza Marina a Palermo.
Gli spari suscitarono il panico nelle persone che aspettavano il tram al capolinea della piazza. Alcune rimasero immobili, altre scapparono nella direzione opposta. Solo Alberto Cardella, marinaio imbarcato sulla Regina Nave Calabria, si rese conto di quello che era accaduto. L’omicidio fece tanto clamore che il console americano a Palermo telegrafò al suo governo: “Petrosino ucciso a revolverate nel centro della città questa sera. Gli assassini sconosciuti. Muore un martire”.
Chi era Petrosino?
Joe Petrosino nacque a Padula in provincia di Salerno il 30 agosto 1860. Si trasferì negli Usa, dove incominciò a lavorare come lustrascarpe davanti a una stazione di polizia, ma ben presto fece il salto di qualità. Gli diedero la cittadinanza statunitense e cambiò il suo nome in Jospeh per divenire un poliziotto. Petrosino per primo aveva capito l’importanza di mappare la criminalità presente a New York. Raccolse dati, informazioni, immagini, coordinando operazioni e infiltrandosi tra gli italo-americani grazie alla sua capacità di camuffarsi. Si infiltrò nell’organizzazione anarchica, responsabile della morte del re d’Italia Umberto I, riuscendo a scoprire l’intenzione di assassinare il presidente americano William McKinley durante la sua visita all’esposizione di Buffalo. Presto, Petrosino si scontrò con la prima forma di Cosa nostra, chiamata la Mano Nera, che tergiversava nel quartiere Little Italy di New York, specializzata nel racket delle estorsioni. Nel 1903 risolse il caso più importante della sua carriera, il “delitto del barile”, così chiamato per il fatto che il cadavere di Benedetto Madonia (malavitoso membro di una banda di falsari) venne ritrovato dentro il barile fatto a pezzi. Per i numerosi successi, Petrosino venne promosso a tenente e il presidente degli Stati Uniti Teddy Roosevelt lo dotò di una squadra investigativa chiamata “Italian Branch”, che inflisse duri colpi ai mafiosi.
Il viaggio di non ritorno
Le diverse piste investigative portarono Petrosino a capire che per continuare la lotta contro la mafia, doveva recarsi in Italia. Infatti il poliziotto, finanziato dai banchieri Rockefeller e J.P. Morgan, salpò per la Sicilia in totale segreto, anche se un giornale newyorkese pubblicò la notizia della sua partenza. Petrosino iniziò a lavorare da solo. Consultava casellari giudiziari e a fine giornata tornava all’Hotel de France in piazza Marina. La sera del 12 marzo 1909 due sconosciuti chiesero di lui e Petrosino lì seguì fuori dall’albergo, dove venne poi sparato mentre camminava lungo la cancellata del parco. Al funerale del poliziotto parteciparono circa 250.000 persone e resterà nella storia per essere stato il più importante funerale del nuovo secolo. Il governo americano mise a disposizione dei soldi per spingere le persone a dare informazioni sull’omicidio. Ma il timore della mafia era più forte e nessuno disse nulla. La polizia indagò Don Vito Cascio Ferro, agitatore anarchico in gioventù e poi diventato mafioso molto vicino alla politica giolittiana. Quest’ultimo è considerato dagli storici il fondatore della mafia siciliana. Gli investigatori ipotizzarono che fu lui a sparare quella sera a Piazza Marina, ma aveva un’alibi dato che l’onorevole Domenico De Michele Ferrandeli sosteneva di essere stato a cena con Cascio Ferro. A distanza di un secolo, nel giugno 2014, Domenico Palazzolo ha detto in un intercettazione che a sparare Petrosino fu lo zio del padre, Paolo Palazzolo indagato, processato e poi prosciolto per l’omicidio del poliziotto. “Ha fatto lui l’omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino” queste le parole registrate dagli investigatori nell’ambito dell’operazione “Apocalisse”. Ad un secolo di distanza la storia di Petrosino torna d’attualità con un film tratto da romanzo “The Black Hand” (La mano nera) con Leonardo DiCaprio, il quale interpreterà il poliziotto.
di Davide de Bari Fonte