La Certosa di Padula ha avuto nei secoli un’importanza determinante nella vita socio-economica di Padula soprattutto perché essendo stata un cantiere perenne ha inciso profondamente nel diffondersi di attività artigianali e manuali tra le genti locali
Alla metà del XIX secolo si contavano 505 artigiani e tra essi 35 muratori, 3 tagliapietre e soprattutto 240 scalpellini: un esercito di addetti alla lavorazione della pietra che hanno lasciato testimonianze della loro opera anche fuori del territorio del Vallo di Diano e dell’Italia stessa.
Le cave dalle quali proveniva la materia prima erano diverse; le due più importanti sono quella del Tempone e quella della Serra. La “pietra di Padula” è un’arenaria calcarea (calcarenite) fossilifera dal colore bianco avorio con piccolissimi granuli scuri, in termini locali detti “pulci”, i quali sovente si presentano sotto forma di vere e proprie macchie e determinano un grosso spreco di materiale per selezionarne del pregiato. La sua pastosità, a fronte della sua durezza, ne conserva la lavorabilità scultorea che nei secoli si è manifestata dalle opere d’arte nella Certosa ai manufatti e agli elementi decorativi sparsi in tutte le case di Padula: vasi, mortai, architravi, ornie, soglie lavorate e con portavasi laterali figurati e soprattutto portali di abitazioni e di edifici religiosi. Per avere un’idea fedele della bellezza di tali opera basterà fare una passeggiata nel cuore del centro storico dove tutti questi splendidi manufatti perpetuano il fascino di un’epoca passata e di attività manuali che oggi forse appaiono irreali. Vale la pena soffermarsi tra tutti i mastri scalpellini di cui si ha memoria nel Settecento ( Giuseppe Brigante, Pietro Cavolo, Giuseppe Morra, Lorenzo Marino, Francesco Moscarella, ecc.) sul nome di Andrea Carrara cui vanno attribuiti nella Certosa di San Lorenzo, oltre ad alcune metope della trabeazione del Chiostro Grande, i busti degli Evangelisti, della Vergine con Bambino e di S. Anna e la Vergine posti sul secondo ordine di finestre della facciata; egli ha lasciato, tra l’altro, in Padula le statu di San Vito sulla facciata dell’omonima cappella, di una Madonna con Bambino e di un San Michele nella cappella del Monte Romito. Lo stesso ha firmato nel presbiterio della chiesa madre dell’Assunta di Sanza i busti di un San Giuseppe con Bambino, di un San Pietro e di un San Paolo, probabili residue testimonianze di un ciclo più vasto, e il portale della Chiesa di San Zaccaria a Brienza, città dove morì il 28 agosto 1757.[/expander_maker]