Corte esterna – Spezieria – stalle luogo di lavoro.
La chiesa
Il Chiostro grande e il cimitero.
L’architettura decorativa e l’iconografia del chiostro della Certosa di San Lorenzo: un connubio di bellezza e simbolismo
Un’armonia di proporzioni e decorazioni
La fascia a rilievo che orna le arcate del chiostro della certosa di San Lorenzo non è un semplice abbellimento, ma parte integrante dell’architettura. Composta da 336 metope, la decorazione alterna triglifi, rosoni, fogliame d’acanto, putti e figure simboliche, creando un effetto di progressione continua che accentua la grandiosità e conferisce ordine allo spazio. L’altorilievo garantisce la visibilità di ogni elemento, compensando l’altezza del fregio.
Un messaggio iconografico profondo
Il fregio del chiostro grande ha un ruolo centrale sia stilisticamente che iconograficamente. Le figure di santi, monache, eremiti, simboli della Passione e del martirio trasmettono gli ideali dell’Ordine Certosino, diventando parte dell’esperienza visiva quotidiana dei monaci e definendo la spazialità del chiostro con significato religioso.
Un’opera frutto di un lavoro collettivo
La realizzazione del fregio, iniziata alla fine del Cinquecento e protratta fino alla prima metà del Seicento, rispecchia le vicende del cantiere del chiostro. Lo stile delle metope rivela la collaborazione di più artisti, distinguibili in due periodi: un primo, caratterizzato da un’omogeneità stilistica, e un secondo, con un approccio più provinciale e meno coordinato. Il fregio riflette un programma iconografico prestabilito, probabilmente ispirato da Damiano Festimi, uomo di grande cultura che ne promosse la realizzazione.
Nonostante le differenze stilistiche, il fregio del chiostro di San Lorenzo rimane un capolavoro di armonia e simbolismo, espressione della sintesi tra architettura e iconografia che caratterizza questo complesso monumentale. Le 336 metope settecentesche sono così suddivise: 140 decorative, 24 fogliami d’acanto, 52 rosoni o fioroni, 64 putti e cherubini, 11 figure certosine, 18 figure neotestamentarie, 4 sante monache, 5 santi eremiti, 72 attributi di figure neotestamentarie, 84 simboli della passione e del martirio. Questi dettagli sono riportati nel libro degli Introiti ed Esiti della Certosa relativo agli anni 1734-1744, dove alla pagina del 22 novembre 1736 si registra un pagamento ai maestri scalpellini obbligatisi a far le liste, cordoni e quadretti nel chiostro. Il documento elenca tali artisti: Maestro Andrea Carrara, Pietro Cavolo, Francesco Moscarella, Michele Sandullo, Gian Mario Franza, Lorenzo Marino, Michele Carrara, Giuseppe Morra, Giuseppe Robertucci, Michele Brigante, Rosario Brigante, Gerardo Ferro, Giovanni Marino, Innocenzo Dono, Antonio Bolimeteo e Francesco Antonio La Mania.
Credits testo, dalla : La Certosa sotterranea- MIBACT 10/10/1992
Lo scalone
Alloggio del Priore
Biblioteca e scala a chiocciola
Cucina e forni
La Cantina
Sulle pareti degli ambienti sottostanti lo scalone ellittico, è presente una raffigurazione intitolata “Il sogno dello squarcione” a firma “Francesconi” e datato 17-7-45. Letteralmente lo “squarcione” è una persona fanfarona o spaccona. Probabilmente l’autore del disegno conosceva anche la commedia di Plauto Miles gloriosus (Il soldato fanfarone o il soldato spaccone), in cui il soldato Pirgopolinice, un millantatore vanaglorioso, era noto per le sue spropositate e infondate vanterie.
La Certosa di Padula dal ’42 al ‘45
La Certosa andò in funzione da aprile 1942 alla fine del 1945 come campo di prigionieri di guerra, ospitando ex ministri, alti ufficiali dell’esercito e della polizia, gerarchi locali, fascisti repubblicani, sospetti di spionaggio, collaboratori dei tedeschi, fascisti clandestini nel Meridione, ma anche operai e modesti impiegati che nulla avevano avuto a che fare con il regime fascista e addirittura ricchi israeliti napoletani che avrebbero dovuto essere tra i liberatori sfuggiti alle rappresaglie naziste. Il “371 P.W.Camp” nella Certosa di Padula era tenuto dagli inglesi, con la collaborazione di greci e indiani, che si facevano largo a scudisciate e pedate. Ivi erano stipati due-tremila internati che, per la natura di smistamento del campo, alcuni venivano liberati poco dopo, altri erano destinati ad altri campi, altri continuavano ad arrivare; pertanto, nel corso di circa due anni furono ospitati circa ventimila prigionieri. Erano, più che altro, civili ritenuti pericolosi per la sicurezza delle truppe “alleate” e semplicemente “puniti” in tal modo per aver coperto cariche politiche, economiche, amministrative. Per ludibrio, gli internati vestivano panni militari inglesi usati o tolti ai caduti per mano dei nazifascisti, contrassegnati sulla schiena dalla scritta PW. A Padula, come in altri campi, la Convenzione di Ginevra non fu osservata e i prigionieri furono trattati con estremo disprezzo, durezza e volgarità. Il campo fu attrezzato con paglia a terra nelle gelide camerate ventilate da ampi finestroni senza vetri. Anche d’inverno, i prigionieri erano costretti ad aspettare nudi all’aperto il turno per il rito catartico della doccia fredda. Gli inglesi, specie nei primi mesi, li alimentavano con ghiande e gallette ammuffite. Gli aguzzini indiani erano tanto sadici e criminali che, ripreso un prigioniero dopo un tentativo di fuga, lo sottoposero a sevizie feroci, finché non morì. Altri furono lasciati morire di fame o per malattie non curate, come successe allo scrittore Paolo Orano che, affetto da ulcera perforata, fu inviato all’ospedale di Salerno con tanto ritardo che, nel frattempo, morì di emorragia. C’erano, tra gli altri prigionieri, il principe Valerio e moglie Maria Elia, l’avv. Nando Di Nardo, il dott. Riccardo Monaco, provetto capitano pilota, la prof.ssa Elena Rega, il direttore del Banco di Napoli Giuseppe Frignani, l’armatore Achille Lauro, il pittore e scrittore Ardengo Soffici.
Al fine di stabilire la verità dei fatti, evitando quindi l’imputazione di fatti non commessi agli internati, è auspicabile un approfondimento scientifico sul tema, sfruttando anche le conoscenze e la disponibilità del prof. Giovanni Bortolone, studioso dei crimini commessi dagli anglo-americani.
Il Parco
Il Parcola Sala delle Campane era un luogo esclusivo, accessibile solo ai Priori e a pochi eletti. Qui si tenevano i Capitoli, per discutere questioni vitali per la Certosa. Ma la sua funzione era ben oltre il pratico: era un faro di spiritualità, un monito alla vigilanza e alla preghiera. Il suono delle campane scandiva le ore,richiamando i monaci alla meditazione.
Simbolo perfetto della vita certosina, la Sala delle Campane univa concreto e trascendente, temporale ed eterno. Oggi invita i visitatori a un viaggio nel tempo, a scoprire il cuore pulsante di un mondo antico e affascinante.
La sacrestia e il ciborio bronzeo, attribuito a Jacopo del Duca, allievo di Michelangelo Buonarroti, fu trasferito al museo borbonico di Napoli nel 1813 dalla Certosa di San Lorenzo di Padula. Nel 1988, ulteriori studi confermarono la sua provenienza e rivelarono i committenti certosini di Padula. Questo conferma escludendo un’identificazione con un ciborio commissionato dai monaci della certosa romana di S. Maria degli Angeli. Nel 1988, il ciborio fu sistemato definitivamente nella Certosa, che era la sua collocazione originaria, poiché era l’unico manufatto sopravvissuto dell’arredo della Certosa di Paluda disperso a causa delle leggi eversive.
La Cappella di Sant’Anna della Certosa di San Lorenzo a Padula: un gioiello barocco da non perdere!
Si accede dall’ingresso principale e si attraversa il chiostro della foresteria. Sulla destra del corridoio si imbocca una scala che porta al primo piano superiore. Qui, immersa in un’atmosfera di quiete e spiritualità, si trova la Cappella di Sant’Anna,un vero e proprio capolavoro dell’arte barocca campana. Risalente al XVIII secolo, la cappella ammalia per la sua ricca decorazione a stucco, frutto del lavoro di abili artigiani locali, che ricopre interamente pareti e la volta affrescata con scene della vita di Sant’Anna e della Vergine Maria, che culmina in un’apoteosi della Santa circondata da angeli e cherubini. Sulle pareti laterali, nicchie incorniciate da elaborate cornici a stucco ospitano statue di santi e martiri, mentre l’altare maggiore, in marmo policromo, è sovrastato da una statua di Sant’Anna con la Vergine Maria bambina. Un tripudio di forme sinuose, motivi floreali e figure allegoriche, che culmina nell’affresco della volta raffigurante la Gloria di Sant’Anna. La luce, sapientemente filtrata dalle ampie finestre, esalta i colori vivaci e la plasticità delle decorazioni, creando un’atmosfera di suggestione mistica. La Cappella di Sant’Anna è un luogo di rara bellezza, che invita alla contemplazione e alla riflessione. Un gioiello da non perdere per gli amanti dell’arte e della spiritualità.
IL CHIOSTRO E LA FORESTERIA
La vita claustrale imposta dalla regola riservava ai monaci la completa solitudine e scarsissimi contatti con il mondo esterno. L’ospitalità in Certosa era, quindi, riservata a pochissimi eletti: tra questi, e comunque in casi eccezionali, religiosi e nobili illustri. Le stanze della Foresteria si trovano al piano superiore del chiostro, dove è situata anche una cappella dedicata a Sant’Anna, ricca di stucchi dorati di epoca settecentesca. il chiostro, tardomanierista, è composto da un portico con fontana al centro e da un loggiato dal quale si eleva la torre dell’orologio. La loggia attira la massima attenzione ricca com’è di pitture seicentesche: vedute su boschi, paesaggi, scene di vita agreste, riconducibili alla pittura paesaggista napoletana dei primo ‘600 e ad uno dei massimi esponenti di quella corrente pittorica, Domenico Gargiulo. Sul portico si affacciano una cappella, detta della Madonna dei Morti, e l’ingresso alla Chiesa di San Lorenzo.
Il cimitero antico della Certosa di Padula: un luogo di storia e mistero
Un chiostro silenzioso, circondato da portici, custode di memorie antiche. Il cimitero antico della Certosa di San Lorenzo a Padula oggi non è più un luogo di sepoltura, ma un vero e proprio scrigno di storia e mistero. Passeggiando tra le arcate del porticato, si respira un’atmosfera di pace e spiritualità.
Oggi, il cimitero antico è un punto di passaggio obbligato per raggiungere la chiesa. Ma c’è un particolare che attira l’attenzione dei visitatori soprattutto nel mese di giugno. Proprio in occasione della festa di San Giovanni, spicca l’Iperico,o Erba di San Giovanni. Questa pianta, nota per le sue proprietà cicatrizzanti, antidolorifiche e lenitive delle ustioni,fiorisce proprio in questo periodo dell’anno, regalando al cimitero un tocco di colore e vitalità.
È interessante ipotizzare che i frati della Certosa conoscessero le virtù benefiche dell’Iperico e lo utilizzassero per le loro cure. Chissà, forse tra queste mura si nasconde un piccolo grande mistero, un segreto tramandato di generazione in generazione tra i monaci.
Oggi, l’Iperico del cimitero antico non è solo una bellezza da ammirare, ma anche un monito a riflettere sul ciclo della vita e della morte. Un ciclo che, come dimostra la natura stessa, è caratterizzato da continui ritorni e da una perenne rinascita. Un’esperienza che invita al raccoglimento e alla riflessione, ma che allo stesso tempo regala un tocco di bellezza e speranza.
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