A 100 anni dalla grande guerra

Il campo di prigionia ceco-slovacco in Certosa

Il Campo di Padula è allestito a partire dal novembre 1915 e viene destinato originariamente ad accogliere prigionieri austro-ungarici delle nazionalità più diverse. Crescendo rapidamente e contando al 1° gennaio 1917 già 13.074 prigionieri, diviene nel corso degli ultimi due anni del conflitto il principale luogo di raccolta dei Ceco-slovacchi, che di qui partiranno per il fronte ormai arruolati nel nostro Esercito. Secondo testimonianze dell’epoca, lo Stato Italiano – per lavori di riparazione generale della Certosa necessari ad ospitare proprio tale Campo – avrebbe speso una cifra davvero considerevole: ben 67 milioni di lire!

A dirigere il Campo viene chiamato il Generale Francesco Finiguerra, una vecchia gloria militare ormai in pensione, che ne guida le sorti per poco più di un anno, come riporta un vecchio articolo tratto da “La Basilicata nel Mondo” degli anni 1924 -1927:

Per circa un anno e mezzo, è destinato al gran campo di concentramento di prigionieri di guerra della storica Certosa di Padula, ch’egli rende, con opera illuminata e infaticabile, con rara competenza ed energia, il campo più importante d’Italia; e organizza quei nuovi reggimenti, che si coprirono di gloria sui campi di battaglia”.

La costruzione del Campo di Padula viene condotta dal Corpo del Genio Militare dell’Esercito Italiano, che documenta scrupolosamente le diverse fasi delle operazioni. Su molte delle tavole originali si leggono ancor bene i nomi dei direttori dei lavori: Capitano Alessandro Migliozzi e Tenente Aldo Giovannini. L’accampamento, in continua crescita nell’immenso desertum della Certosa dalla primavera del 1916 al febbraio del 1918, arriva a numeri senza precedenti: più di 100 baracche disposte 4 – 5 file (con una capacità di 200/270 posti ciascuna); un presidio militare, preposto alla sorveglianza, di circa 5000 uomini (tra soldati ed ufficiali italiani); una massa di prigionieri austro-ungarici, di diversa nazionalità, di oltre 20.000 unità.

Già dal luglio del 1917 la funzione del Campo di Padula va rapidamente cambiando. Sempre più massiccia e significativa diventa l’affluenza dagli altri Campi di prigionieri boemi e moravi, con una minoranza significativa di slovacchi. I numeri crescono mese dopo mese, mentre gli uomini di altra nazionalità sono progressivamente trasferiti altrove. Il 10 ottobre 1917 a Padula le cifre sono queste:   2.448 Boemi – gli stessi prima a Santa Maria Capua Vetere – 646 Moravi, 31 della Slesia, 25 di Vienna, 18 Slovacchi, 27 di altre regioni), per un totale di 3.195. Essi sono così ripartiti: 1.956 manovali, 536 operai, 454 contadini, 129 tra studenti insegnanti e laureati, 120 impiegati, 470 sposati; 713 sono sotto i 20 anni, 1419 tra i 20 e i 25, 532 tra i 26 e i 30, 326 tra 31 e 35, 123 tra 35 e 40, 80 tra 41 e 45, 2 con più di 46 anni (il 25 % di loro lavora in varie attività a Padula). 

Di lì a poco, a Roma, sarebbe sorto il Comitato per l’accordo tra le nazionalità oppresse, sotto la spinta di tanti nostri connazionali e conterranei (come il cilentano Andrea Torre): i popoli slavi si vanno dunque organizzando e, tra essi, i Ceco-slovacchi tenderanno sempre più a schierarsi al fianco dell’Intesa contro l’Impero Austro-Ungarico.

Fin dall’agosto del 1917 a Padula prende corpo il progetto della costituzione di un Esercito Ceco-slovacco. Intanto, giorno dopo giorno, tra i volontari cresce l’impazienza e la delusione per una partenza che si avverte come imminente, ma che poi è sempre rimandata.

L’arrivo quotidiano di nuovi compatrioti porta con sé notizie che esaltano gli animi: si sa così della vittoria dei Cechi a Zborov sul fronte russo, si apprende della rivoluzione scoppiata in Boemia e ancora che Jirásek e Machar vanno esortando il popolo a rovesciare gli Asburgo. La visita di Beneš, inoltre, esalta non poco gli animi e le speranze di tutti i Ceco-slovacchi. Tra le lacrime si palpita e si aspetta. Tutti sono però d’accordo su un punto: «Il nostro esercito deve essere assolutamente democratico. Siamo convinti che al nostro interno è possibile scegliere ufficiali molto capaci, forse più capaci di quelli che ha avuto e ha l’esercito austro-ungarico».

Dal 3 marzo 1918 cominciano a partire, dalla stazione ferroviaria di Padula, ordinate formazioni militari di Ceco-slovacchi in uniforme italiana grigio-verde con nastro rosso-bianco sul berretto e sulla manica sinistra. A differenza degli Italiani, essi non hanno armi, ma dimostrano un ordine e una disciplina esemplari, tali da stupire perfino gli ufficiali italiani. Su uno dei convogli è F. Hlaváček, che scrive a Štefánik informandolo di ogni dettaglio.

Grande l’entusiasmo, alta l’emozione tra i volontari, consapevoli che un grande momento è finalmente giunto. «Promettiamo solennemente che saremo felici di dare tutto, la nostra vita, del cui grande valore siamo pienamente coscienti, per la grande idea e per il sacro ideale: Evviva lo stato ceco-slovacco completamente indipendente!».

i Ceco-slovacchi si muovono verso il Veneto, andando incontro ai primi scontri, per poi raggiungere il Piave ed ancora oltre, verso le Alpi trentine e l’Isonzo.

La battaglia di Doss’Alto, sul fronte dell’Altissimo, combattuta tra il 21 e il 22 settembre 1918, consacra definitivamente ai posteri il valore dei Legionari Ceco-slovacchi sul fronte italiano. Il comunicato del comandante in capo dell’Esercito Italiano, riferisce: «Gli incrollabili reparti della VI Divisione ceco-slovacca che hanno difeso la posizione a quota 703 si sono difesi con valore ammirevole». D’ora in poi, per gli Austro-Ungarici, sarà una lenta ma inesorabile ritirata, ancor più evidente dopo la controffensiva italiana del 24 ottobre lungo tutta la linea di guerra. Quello stesso giorno il Generale Armando Diaz sostituisce al vertice della VI Legione Ceco-slovacca il Gen. Andrea Graziani col Gen. Luigi Piccione, col compito di riorganizzarla, ampliarla e trasformarla in un Corpo d’Armata.

Intanto il 4 novembre la guerra è ufficialmente finita, ed è vinta anche grazie ai Ceco-slovacchi, elogiati direttamente dal Capo del nostro Governo Vittorio Emanuele Orlando, con le seguenti parole:

«… un popolo che combatte per la libertà, che è riuscito a dominare il demone che attaccava alimentato dell’odio».

Fonte: Giardini Storici Campania

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